Valle Ponci – da “La Danza dei Tarocchi”

Picture of Giancarlo Guerreri

Giancarlo Guerreri

  Udivo tra la selva, nei colori d’arbusti con le foglie già vizzite,...

 

Udivo tra la selva, nei colori

d’arbusti con le foglie già  vizzite,

il vento, che urlando suoi vigori,

 

baciava quelle fronde senza vite.

Il sole come un serpe s’insinuava

cercando di toccar la terra mite,

 

si come dei meandri la Moldava,

del mar cerca l’amore senza posa.

Mirai verso quel sol che mi baciava,

 

qual fossi io di lui,  l’amata sposa,

in quel calor, d’origine divina,

che con l’Amor ne fa una sola cosa.

 

Si come un ramo che, il fusto inclina,

io mi posai a riverir la Terra,

sentendo quel tepor ch’ella propina:

 

parommi di giacer in calda serra.

Poi scosso da un rumor di strani canti,

vidi lontan, bardati come in guerra,

 

un sì sparuto numero di fanti,

spinger un carro che, robusto e lento,

a grave passo lo portaro avanti.

 

Or taci pensier mio ch’io già sento

l’olezzo che perviene dal sudore

portato qui tra noi, da un fine vento,

 

c’ammorba tutti col suo grave odore.

Scorgendo me, la lunga carovana,

fermò, mostrando tutt’ il suo candore:

 

rosse le croci, bianca la sottana

di nove cavalier dal guardo fiero.

Ma ‘l carro avea parvenza di puttana:

 

Lo strame dal colore quasi nero,

trovassi mescolato al sol del fieno,

mostrandoci un tutt’un, affatto vero;

 

e  il carro si empì dell’or in seno,

celato dalla lurida mercanza,

che mai sentì tirar,  pel troppo pieno….

 

Il noto Gargantua, nella sua panza!

Conobbi dei Fratell’ i dotti segni

che scoprono i Savi in lontananza,

 

baciai tre volte quei Nobìli degni

e per tre volte venni ricambiato.

L’onor che Cavalieri ha reso pregni,

 

tornando nello corpo già rinato,

trasmuta ‘l cor dei grandi condottieri

In puro amore,  tutto immacolato.

 

E anche se mai vidi prima i fieri

Fratelli miei,  in questa nobil vita,

trovai ne loro occhi quei misteri

 

a dimostrar che via non fu smarrita.

Fuggiron dagli artigli di Filippo

Trovando a mezz’il  Cielo via d’uscita

 

menando presso a  lor, con quell’inghippo,

un ‘si lucent’ e fulgido tesoro.

Se in Grecia, nel pensiero di Leucippo

 

dell’atomo troviamo il primo coro,

più forte in Democrito la scienza,

potè urlare dall’ardito Foro.

 

Per questo i Cavalieri di Sapienza

son giunt’a noi portandosi del Tempio,

la conoscenz’ in forma di semenza,

 

nascosta tra lo carico più empio.

E i Rosacroce presto s’arricchiro

non già del vil metallo, per esempio,

 

ma  di quell’or, nascosto in un sospiro,

che solo i sensi fini hanno avverto.

Tornando in dietro vidi, tutt’in giro,

 

che nella nuda rocca era scoperto

si picciol foro, e magica caverna,

che  Fate, per lor nove,  avean aperto.

 

E vi calaron nella parte interna,

i pani di quell’oro risplendente,

celandone per l’era sempiterna

 

la vista a quelli che, profanamente,

potevano violarne la presenza.

Partiron, dopo quell’azion prudente,

 

convinti d’aver colto nell’essenza,

giungendo in Toscana, terra mia,

dell’oro nudi solo in apparenza.

 

In seno alla Liguria, è ben che sia,

nascosta nell’antica via del sale,

che parte dalla vecchia Final Pia

 

secando i monti dall’azzurre cale.

E giace ancora in quello strano loco,

coprendo della grott’il suo fondale,

 

lucendo tutto, quell’ambiente fioco

se solo un raggio quella va a baciare.

Così potei spiegare, a poco a poco,

 

che nobile tesor, prossim’ al mare

gli eredi dei virtuosi Cavalieri,

potranno, se vorranno, ritrovare.

 

Patiro, in ver quei nobili cimieri

che senza peso eran ripartiti

or troppo alleggeriti degli averi

 

chè sol d’onore erano vestiti.

Piansi nel cor, celando in me ‘l segreto,

del punto che, dischiud’ in questi siti

 

di Madre Terr’ il suo prezioso feto,

e dove sta sepolto, sotto i liti,

da troppi anni a riposare cheto.

Torna in alto