Udivo tra la selva, nei colori
d’arbusti con le foglie già vizzite,
il vento, che urlando suoi vigori,
baciava quelle fronde senza vite.
Il sole come un serpe s’insinuava
cercando di toccar la terra mite,
si come dei meandri la Moldava,
del mar cerca l’amore senza posa.
Mirai verso quel sol che mi baciava,
qual fossi io di lui, l’amata sposa,
in quel calor, d’origine divina,
che con l’Amor ne fa una sola cosa.
Si come un ramo che, il fusto inclina,
io mi posai a riverir la Terra,
sentendo quel tepor ch’ella propina:
parommi di giacer in calda serra.
Poi scosso da un rumor di strani canti,
vidi lontan, bardati come in guerra,
un sì sparuto numero di fanti,
spinger un carro che, robusto e lento,
a grave passo lo portaro avanti.
Or taci pensier mio ch’io già sento
l’olezzo che perviene dal sudore
portato qui tra noi, da un fine vento,
c’ammorba tutti col suo grave odore.
Scorgendo me, la lunga carovana,
fermò, mostrando tutt’ il suo candore:
rosse le croci, bianca la sottana
di nove cavalier dal guardo fiero.
Ma ‘l carro avea parvenza di puttana:
Lo strame dal colore quasi nero,
trovassi mescolato al sol del fieno,
mostrandoci un tutt’un, affatto vero;
e il carro si empì dell’or in seno,
celato dalla lurida mercanza,
che mai sentì tirar, pel troppo pieno….
Il noto Gargantua, nella sua panza!
Conobbi dei Fratell’ i dotti segni
che scoprono i Savi in lontananza,
baciai tre volte quei Nobìli degni
e per tre volte venni ricambiato.
L’onor che Cavalieri ha reso pregni,
tornando nello corpo già rinato,
trasmuta ‘l cor dei grandi condottieri
In puro amore, tutto immacolato.
E anche se mai vidi prima i fieri
Fratelli miei, in questa nobil vita,
trovai ne loro occhi quei misteri
a dimostrar che via non fu smarrita.
Fuggiron dagli artigli di Filippo
Trovando a mezz’il Cielo via d’uscita
menando presso a lor, con quell’inghippo,
un ‘si lucent’ e fulgido tesoro.
Se in Grecia, nel pensiero di Leucippo
dell’atomo troviamo il primo coro,
più forte in Democrito la scienza,
potè urlare dall’ardito Foro.
Per questo i Cavalieri di Sapienza
son giunt’a noi portandosi del Tempio,
la conoscenz’ in forma di semenza,
nascosta tra lo carico più empio.
E i Rosacroce presto s’arricchiro
non già del vil metallo, per esempio,
ma di quell’or, nascosto in un sospiro,
che solo i sensi fini hanno avverto.
Tornando in dietro vidi, tutt’in giro,
che nella nuda rocca era scoperto
si picciol foro, e magica caverna,
che Fate, per lor nove, avean aperto.
E vi calaron nella parte interna,
i pani di quell’oro risplendente,
celandone per l’era sempiterna
la vista a quelli che, profanamente,
potevano violarne la presenza.
Partiron, dopo quell’azion prudente,
convinti d’aver colto nell’essenza,
giungendo in Toscana, terra mia,
dell’oro nudi solo in apparenza.
In seno alla Liguria, è ben che sia,
nascosta nell’antica via del sale,
che parte dalla vecchia Final Pia
secando i monti dall’azzurre cale.
E giace ancora in quello strano loco,
coprendo della grott’il suo fondale,
lucendo tutto, quell’ambiente fioco
se solo un raggio quella va a baciare.
Così potei spiegare, a poco a poco,
che nobile tesor, prossim’ al mare
gli eredi dei virtuosi Cavalieri,
potranno, se vorranno, ritrovare.
Patiro, in ver quei nobili cimieri
che senza peso eran ripartiti
or troppo alleggeriti degli averi
chè sol d’onore erano vestiti.
Piansi nel cor, celando in me ‘l segreto,
del punto che, dischiud’ in questi siti