Odissea – Atena consiglia Telemaco

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Giancarlo Guerreri

Atena lo guardò, con grav’occhiata, e disse sotto spoglie di Re Mente: “Telemaco...

Atena lo guardò, con grav’occhiata,
e disse sotto spoglie di Re Mente:
“Telemaco è or che sia levata,

la nave che ti porti, impaziente,
a coglier di tuo padre, la presenza,
ch’ a Itaca v’è certo, troppa gente,

e ora v’ha donata……. loro assenza!.
Io vedo già colui, con elmo e scudo,
entrare nella reggia con possenza,

si come vidi già, sì forte e ignudo,
un giorno a banchettar, a nostra mensa,
giungendo da lontan, con guardo crudo.”

D’Efira ei partì, con mente pensa,
negatogli da Ilo, gran veleni,
da porre sulle lance, in dose densa.

Irato fu tuo padre, ne convieni,
comprese poi, che quelli fece il gesto,
temendo che gli dei patisser peni.

Mio padre, che lo vide sì funesto,
gli fece don, di quell’amaro seme ,
pensando che, se fosse stato lesto,

trovandosi d’innanzi, lor che freme,
di diventar al posto suo regnanti,
avria potuto quei, udir che geme,

forati nella gola e sanguinanti.
Ordir vendetta, deve Telemàco,
Ulisse caccerà, quei proci tanti,

tessendo con gli dei, tela di baco,
ma senza quei, non può sperar vittoria.
Ascoltami figliol, dal cor di draco,

dimane tu racconti la tua storia,
unendo tutti i principi del regno,
e sappi che di dei avrai la gloria.

Annuncia lor, con tono forte e degno,
che tornino alle lor, case natie,
e prendano dell’ir, solenne pegno.

Tua madre, con le su’ ancelle pie,
nel cor potrebbe poi, trovare inganno,
falsata nel veder insane vie,

che possano recarvi grave danno.
Indurla tu dovrai, a ritornare,
se proci in realtà, in via non vanno,

in casa, quella che, lei pote amare,
essendo d’icario, figlia diletta.
Ora dirò a te, devi ascoltare:

naviglio prenderai, che mare aspetta,
che fili via veloce, tra le onde,
e corri verso Pilo, in linea retta.

E Nestore vedrai, su quelle sponde,
poi vai da Menelao, in quel di Sparta,
con giusto garbo ei, se vol responde,

che ultimo si sa, da Troia parta.
Potranno forse dir, ch’Ulisse vive,
allora tu potrai, sancir con carta,

che denno ancor cantar, tanto le pive
da risuonar nel cielo tutt’un anno.
S’invece dell’Adé, vide le rive,

e non si può parar, al grave danno,
solleva un sepolcro, e grandi onori,
che all’Anima di lui, prestigi fanno.

Poi torna da tua madre e fai decori,
che possa lei sembrar, felice sposa,
e poni nella casa, olenti fiori,

che tutto sia parvenza, più gioiosa.
E quando tutto sia, ben allestito,
prepara la tua astuzia, più insidiosa,

per colorar di sangue ogni vestito,
ch’ i lerci proci, debbon indossare.
Questo tu fai, curando ben l’invito!

Fanciullo non sei più, e trastullare,
non ti si addice sai, e ora insisto
che compiere d’Oreste, il retto fare,

quando trafisse quell’infame Egisto,
è cosa giusta che, il Fato chiede.
Tu giovine or sei, e bello visto,

impugna questa lancia, con gran fede,
ponendo l’attenzion, alle parole,
perché attenzion, il gesto grave chiede.

Or devo ritornar, tra genti sole,
che nave mia trattiene, forse a stento,
e tacitar le troppe vane gole,

che solo può domar, il forte vento.

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