I Sette Peccati Capitali

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Giancarlo Guerreri

SUPERBIA Tu suoli rimirar la bell’imago, celato nella stanza più remota, si come...

SUPERBIA

Tu suoli rimirar la bell’imago,

celato nella stanza più remota,

si come quel Narciso, entro ‘l lago

ch’attese che quell’acqua foss’immota.

 

Intento a gioir di tua beltade,

girasti del tuo Karma ampia rota,

che ti portò a trovar delle contrade,

che bagnano di sal, ognuna gota.

 

IRA

Il sangue ti pulsò, furent’in volto,

la bava ti schiumò giù dalla bocca,

che solo può mostrar, chi d’odio è colto,

che solo può mostrar chi Ira tocca.

 

Lo guardo palesò, tristo demonio,

voglioso di mostrar che tanto fiocca,

lo perfido pensier, d’antico conio,

inciso nel tuo cor, si come in rocca.

 

LUSSURIA

Pensier lubrico già, t’invase l’alma,

sensuale voluttà d’amor carnale,

ch’elude tutto ciò, che’l core calma,

e muta lo candor in nero male.

 

Avvolto da un sentor di calde membra,

immerso nel disio che non ha uguale,

rapito da colui che demon sembra,

Lussuria ti sarà ormai fatale.

 

ACCIDIA

Colui che mort’in vita, già ci pare,

immoto nella noia che lo strozza,

senza capir che vita vole il fare,

annega nella fredda melma sozza.

 

E l’ozio ti congela come morte,

che pari una scrofa laid’ e sgozza,

abbandonato a ciò, che vile sorte,

decise che la tua, sia vita mozza.

 

INVIDIA

Alberga nel tuo cor, pensier funesto,

che bene altrui traduc’ in mal supremo,

ponendo ogni piè al passo lesto,

in quel cammin ch’al sol pensier io tremo.

 

Invidia ti macchiò l’antica veste,

e mai lo pio candore più vedremo,

fintanto che virtù, altrui sien deste,

e maledetto sei!… È quel che temo.

 

AVARIZIA

Unito al metal dal peso forte,

si come sanguisuga al corp’umano,

che sol ti può staccar la fredda morte,

ma gnun potrà dischiuder quella mano.

 

Tu speri di portar nell’altra vita,

il peso di quell’or, pensiero vano,

senza saper che Via tu l’hai smarrita,

e più non troverai prezioso Piano.

 

GOLA

Laido maial ch’intendi solo empire,

senza pudor quel ventre scellerato,

non ti mostrar, potremmo noi patire,

orripilar, mirando lo tuo stato.

 

Un livido fetor, si acre e forte,

trasude dallo ventre tuo gonfiato,

che pare emanar l’odor di morte,

e fetido sentor emana ‘l fiato.

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